Digital divide

Parliamo di digital divide, il divario tecnologico che ancora c’è.

Ancora a parlare di divario digitale? Sì, a malincuore siamo costretti a dirti che il digital divide in Italia c’è e le sue conseguenze sono tangibili, soprattutto in alcune aree del Belpaese dove l’assenza delle infrastrutture tecnologiche è pesante. Quando si parla di digital divide si fa riferimento alla differenza tra chi ha un reale e immediato acceso alle tecnologie d’informazione, come Internet, e chi lo ha solo parzialmente o affatto a causa di diversi fattori.

La locuzione digital divide abbraccia tipi diversi di gap. Analizziamoli:

  • divario globale: la differenza di accesso alle tecnologie tra i vari paesi del mondo;
  • divario sociale: il gap interessa le varie classi sociali in uno stesso paese. L’esclusione può essere determinata da fattori anagrafici (gli anziani sono spesso degli esclusi digitali), da fattori di genere, (le donne non occupate), da barriere linguistiche (gli stranieri) o da fattori culturali. Le persone con un basso livello di scolarizzazione spesso, infatti, subiscono il digital divide perché non sono in possesso degli strumenti conoscitivi fondamentali per comprendere e usare Internet;
  • divario democratico: se si pensa a internet e ai mezzi di comunicazione ad essa collegati, come i social, in qualità di strumento per partecipare alla vita politica di un Paese attraverso un uso consapevole e sapiente delle nuove tecnologie.

E in Italia a che punto siamo in termini di digital divide? A questo proposito ci viene in aiuto il più recente rapporto dell’ISTAT “I Divari territoriali del PNRR: dici obiettivi per il Mezzogiorno”, datato 25 gennaio 2023, in cui, tra i vari aspetti sociali, economici e culturali viene fatto il punto anche sul digital divide in Italia.

I due grafici sono un’istantanea della situazione italiana ed evidenziano come la diffusione di Internet tra le famiglie è molto diverso tra Nord e Sud: il divario è lampante. La figura 9 indica, appunto, che il Mezzogiorno non ha recuperato il gap di partenza che nel 2021 si attestava ancora al 6%. Seppur negli ultimi 20 anni la digitalizzazione in Italia è cresciuta in modo esponenziale, complice il lockdown che ha dato un impulso inedito all’uso di internet, appare chiaro come siano necessari interventi capillari affinché la differenza tra Nord e Sud del Paese si assottigli sempre di più fino a scomparire.

Ed è proprio in questa direzione che si muovono parte delle risorse del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Circa il 27% degli investimenti riguardano, infatti, le telecomunicazioni con interventi mirati a ridurre i divari strutturali di competitività, produttività e digitalizzazione dell’Italia. Si legge nel rapporto ISTAT: “Il PNRR prevede numerose azioni per il Mezzogiorno in quest’ambito, a partire dalla capillarità dell’infrastruttura, per aumentare la propensione all’utilizzo della rete anche nei servizi al cittadino”.

La figura 10 si concentra sullo sviluppo della connettività a banda ultra larga nel Paese. La presenza c’è ed è anche consistente ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Purtroppo, infatti, le differenze tra le varie zone del territorio italiano sono piuttosto accentuate. Vediamole:

  • Sul piano nazionale, nel 2020, il 77,8% delle famiglie italiane dichiara di avere accesso alla rete attraverso una connessione a banda larga (54,3% fissa e 38,1% mobile);
  • Nel Mezzogiorno questa quota scende al 72% (72,8% nel Sud e 72% nelle Isole), con una presenza contenuta soprattutto degli accessi da rete fissa (48,7% nel Sud e 43,4% nelle Isole);
  • Nei piccoli Centri (meno di 2000 abitanti) gli accessi sono inferiori di circa 8 punti (71,6%) rispetto alle realtà urbane medio-grandi ( meno di 50mila abitanti: 79,1%), con una penalizzazione soprattutto sull’accesso alle reti ultra-veloci (42,7% contro 56,2%).

Lo scopo principale è rendere disponibile la connettività in fibra a tutte le famiglie e per tutte le zone abitate entro il 2030, anche nelle ben note aree bianche.

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